Intervista a Marco Romano, presidente dell’interprofessione della vite e dei vini svizzeri, che illustra i temi più importanti per il futuro del mercato enologico nazionale.

Il 20 maggio scorso Marco Romano, consigliere nazionale e municipale di Mendrisio, è stato eletto alla presidenza dell’Organizzazione interprofessionale della vite e dei vini svizzeri (IVVS), l’ente che raggruppa le sei regioni vitivinicole svizzere, nonché le associazioni di produttori e cantinieri. L’IVVS si occupa di promozione e marketing in Svizzera e all’estero, di monitorare i prezzi e il mercato, di difendere il consumo di vino svizzero. Il neo presidente ci accoglie nella cantina di famiglia a Mendrisio.

Quali sono i criteri principali per cui è stato eletto.
Prima di tutto, il presidente dell’IVVS difende la categoria e ha un ruolo di mediatore, tra le varie regioni e tra vinificatori, produttori e autorità. Inoltre, un parlamentare federale beneficia di contatti facilitati a Berna, utili per l’elaborazione degli aspetti legislativi. Secondariamente, in quanto ticinese, non rappresento nessuna delle grandi super potenze, Vallese e Vaud, quindi lontano dal creare screzi tra le parti. Infine, parlare tre lingue nazionali aiuta molto il dialogo con le regioni francofone e tedesche. I ticinesi sono costruttori di ponti.

Lei però non ha un particolare legame con il mondo del vino…
Esatto, ed era un prerequisito fondamentale. Non sono né produttore, né commerciante di vino, a vantaggio del mio ruolo neutrale. Non mi sarei mai immaginato di occuparmi attivamente del mondo del vino, anche se la ritengo una bellissima sfida e ora che lo sto conoscendo meglio, vi ho trovato molte affinità. Beninteso, sono un «buon consumatore» e ho sempre apprezzato i nettari ticinesi e svizzeri, ma mi considero comunque un profano.

A giudicare dalla cantina, si direbbe «profano, ma non troppo».
Era del mio bisnonno, che l’ha comprata negli anni ’30 e la usava per il commercio di vini. Poi mio nonno fu ristoratore e commerciante. Queste cantine, luoghi storici di Mendrisio, sono ideali per l’invecchiamento dei vini, poiché dalla montagna filtrano correnti di aria fresca che mantengono la temperatura costante attorno ai 14°C, d’estate e d’inverno. In passato erano le dispense degli abitanti di Mendrisio, utilizzate anche per la conservazione di formaggi e salumi. Oggi sono un bel luogo per trascorrere momenti in famiglia e con gli amici.

Nessuno ha ripreso l’attività del nonno?
No, nessuno di noi ha seguito la strada della ristorazione. Ma qualche anno fa, insieme a mio padre e mio fratello architetto, abbiamo deciso di ristrutturare la cantina. Ora è un luogo di piacere e convivialità. In cucina sono una frana assoluta… la porta è sempre aperta, io stappo una bottiglia, ma ai fornelli lascio spazio a mia moglie e agli amici. In campagna elettorale era un luogo ambito.

Durante cene e pranzi, si beve solo vino svizzero, giusto?
Quasi (ride). Seriamente, la maggior parte dei vini che ci sono qui sono ticinesi e svizzeri, perché ne sono da sempre un estimatore. Quando viaggio mi fa piacere conoscere i vini locali e, a volte, ne porto qualche bottiglia a casa da far assaggiare agli amici.

Come, si spera, facciano i turisti che visitano il nostro Paese. Ma nell’immaginario collettivo, i prodotti «made in Switzerland» sono formaggio, cioccolato e orologi…
Già, ed è un peccato. Perché il vino è tra i prodotti più svizzeri che ci siano, sicuramente più del cioccolato e degli orologi. È espressione del nostro territorio. Ma per poter veicolare un messaggio fuori dai confini, c’è bisogno che gli svizzeri stessi ci credano.

Non è così?
A mio parere, in Vallese e sulle rive del Lemano i vigneti rappresentano la storia del territorio e la gente lo rispetta. Nell’immaginario popolare del Ticino e della svizzera tedesca, invece, la viticoltura è troppo poco considerata.

In effetti, le vigne del Lavaux sono patrimonio mondiale dell’UNESCO, mentre in Ticino circa il 30% dei terreni su cui sorgono i vigneti sono edificabili…
Siamo stati meno lungimiranti, i nostri terreni viticoli andrebbero protetti a livello legislativo. La soluzione dovrebbe essere intensificare le zone edilizie invece di estenderle. Non si può biasimare i viticoltori che decidono di vendere terreni edificabili.

Oltre al supporto legislativo, quali sono i progetti per sostenere il mondo vinicolo?
A livello di marketing all’estero, ad esempio, vorremmo ispirarci a ciò che è stato fatto per il formaggio: nelle pubblicità non si è parlato di Gruyère o Emmentaler ma di formaggio svizzero. E ha funzionato. Così, dovrebbe essere anche per l’enologia.

Un messaggio difficile in un ambiente tanto variegato.
La Svizzera è federalista e tale rimane anche nel vino, ma cerca sinergie. Non vuole standardizzare o aggregare, lo spirito della democrazia valorizza le singole peculiarità. Un aiuto potrebbe arrivare da un marchio che evidenzi che fanno parte di un’unica realtà, benché siano tanto differenti.

Quindi vi rivolgete essenzialmente al mercato interno?
Il mercato svizzero è potenzialmente sufficiente per assorbire la produzione e sicuramente c’è una buona capacità di crescita, soprattutto nella ristorazione.

Quali sono i motivi per i quali i mercati esteri sono poco considerati?
È un lavoro iniziato da qualche anno e che sarà rafforzato con la strategia vitivinicola 2020, poiché c’è margine di manovra anche all’estero. I nostri vini di qualità non sono secondi a nessuno. Affinando strategia e quantità sono possibili risultati positivi.

«Quantità» significa cantine grandi?
Anche. Il Ticino, composto principalmente da piccole aziende, è piuttosto un’eccezione. Ci vuole equilibrio tra piccoli e grandi attori per soddisfare varie nicchie di mercato.

Il prezzo non è un ostacolo?
Lo ritengo perlopiù un luogo comune. I vini accessibili con buona qualità/prezzo ci sono. In realtà, spesso è la ristorazione a generare una differenza di prezzi significativa tra cantina e consumatore finale.

A proposito di gastronomia, dal 2 al 25 settembre si svolge la «settimana del vino svizzero», un’iniziativa di Swiss Wine, organo operativo dell’IVVS. In questo periodo, i ristoranti che aderiscono, propongono tre vini svizzeri di tre regioni differenti. In genere, non è così…
Già, troppo spesso al ristorante – a Lugano come a Zurigo – la carta dei vini presenta molte più etichette straniere che locali, e difficilmente propongono vini di altri cantoni. Urge sensibilizzare e cambiare rotta!

Ma, se è vero che il buon esempio deve venire dall’alto, è vero anche che i ristoratori non sono gli unici a «dimenticarsi» dei produttori locali.
Purtroppo, anche nei momenti ufficiali non c’è ancora abbastanza attenzione, anche se dopo gli ultimi scalpori qualcosa si è mosso. In tutte le ambasciate svizzere nel mondo oggi, per esempio, si offre vino svizzero. Ci mancherebbe!

Intervista a cura di Elisa Pedrazzini, pubblicata su Cooperazione, 06.09.2016

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