Richiesta sistematica del casellario giudiziale sì o no? Quando e perché? La questione scalda gli animi da mesi e, benché non sia nulla di trascendentale, ha risvolti politico-diplomatici locali, nazionali e internazionali. Una misura per nulla vessatoria e non macchinosa, che tuttavia viene strumentalizzata abilmente da parte di chi si trova su posizioni estreme o dogmatiche. Da un lato la burocrazia europea e, purtroppo, anche nazionale che approcciano la questione in termini esclusivamente teorici e di principio. Dall’altro chi vuole massimizzare i risvolti politici per aizzare la popolazione contro gli uni o gli altri. L’importante è urlare che tutto va male, che nessuno ci ascolta e che niente funziona o che tutto è compromesso dalla richiesta di un documento amministrativo. Ahimè, abili loro, si fanno voti, ma nella realtà quotidiana cambia qualcosa?
Il casellario giudiziale è un atto diffuso e ampiamente usato sia nelle istituzioni (lo si presenta per candidarsi a un Municipio) sia nell’economia privata (il datore di lavoro può chiederlo a un candidato per un’assunzione). E da qui la prima evidenza: cominci ognuno ad avere l’abitudine di chiederlo, ad esempio in caso di una locazione o di un’assunzione, e la problematica si relativizzerà ben presto. Non per tutto serve lo Stato.
Il Cantone ha introdotto la misura ormai due anni fa. L’autocertificazione, prevista nell’ambito della Libera circolazione delle persone, si è rivelata una misura monca che non pone limiti a chi in malafede ha un passato da nascondere. Le pendenze vengono taciute e i casi emersi in Ticino, ma anche recentemente a Ginevra, evidenziano come serva un controllo diretto e sistematico. Fidarsi è bene, ma un accertamento è chiaramente più efficace. La libertà di movimento e di commercio non sono assolutamente compromesse e l’approccio sistematico non crea discriminazione. Il documento è diffuso, facilmente ottenibile e la finalità è prettamente orientata alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico. Affermare che si ledono in maniera pesante i principi fondanti della comunità europea mi pare esagerato e poco pragmatico.
La questione non è solo ticinese. Anche i Paesi europei hanno negli ultimi anni, con la diffusione del terrorismo e l’estensione della criminalità organizzata internazionale, sviluppato la necessità di disporre di possibilità di conoscere il “presente e il passato giudiziario” di chi vive e lavora spostandosi. A livello di UE è quindi stato promosso il progetto denominato ECRIS (European Criminal Records Information System) che consiste in una piattaforma di scambio di informazioni sui casellari giudiziali dei cittadini dei Paesi partecipanti. Il Consiglio nazionale ha recentemente dato mandato al Consiglio federale di approfondire il funzionamento di questo strumento e di valutare l’adesione della Svizzera per poter disporre di informazioni attuali sulle pendenze giudiziarie di chi si muove nel nostro Paese.
La misura ticinese, fino a prova contraria, è in vigore e si rivela utile. Gli sviluppi futuri sono incerti. I risvolti diplomatici sono gestibili e andrebbero inseriti nel contesto generale che non corrisponde globalmente alla teoria. Gli sviluppi politici potrebbero portare a soluzioni condivise da attuare in maniera pragmatica.