Ringrazio sentitamente per l’invito a questa seconda “Festa dell’Indipendenza” promossa dall’ASNI, sezione Ticino. E’ un piacere avere la possibilità di esprimermi in questa sede portandovi qualche riflessione questa sera. Apprezzo soprattutto il fatto che coinvolgiate anche persone che “non la pensano sempre come voi” (non siamo però poi così distanti sui temi chiave), ma che in sostanza hanno a cuore il successo della nostra Svizzera.Domani di 22 anni fa, il 6 dicembre 1992, il popolo svizzero si oppose in votazione popolare all’adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo (SEE). Si trattò di un referendum obbligatorio, fondamentale quanto mai considerata l’importanza strategica e storica della decisione. Questo momento storico, stasera giustamente ricordato e commemorato, rappresenta certamente un punto chiave della storia moderna del nostro Paese. Un voto popolare che ha smentito le istituzioni e ha cambiato il corso della storia. Il Popolo elvetico con il voto ha preso i comandi del treno elvetico e l’ha messo letteralmente su di un altro binario. Un colpo netto e deciso al pensiero corrente istituzionale di allora.
Personalmente il 6 dicembre 1992 avevo esattamente 10 anni e 30 giorni. Sono sincero, non ricordo quel momento. Ero più interessato all’inverno e alle Festività che stavano arrivando. Alcuni affermano che io abbia “mangiato pane e politica” sin dall’infanzia, mi sono lanciato giovane nell’arena politica, ma il 6 dicembre 1992 proprio non me lo ricordo. Non credo sia un male poiché mi permette di riflettere sul significato della decisione in maniera più distaccata.
Un breve inciso. Io non avrò ricordi precisi e non ho vissuto da cittadino quel momento storico, ma purtroppo, permettetemi la frecciata, oggi c’è chi ancora non ha fondamentalmente accettato quella decisione. Ben più grave e irrispettoso di chi è troppo giovane per ricordare o non ha vissuto l’evento. Vi è chi crede ciecamente e irresponsabilmente che l’Unione europea sia un progetto sociale ed economico vincente. Persone che fanno politica con un approccio esclusivamente ideologico e dogmatico. Le decisioni popolari sono parte del nostro sistema, con legittimità pari ad ogni singolo processo legislativo. Se ne prende atto e si prosegue nella direzione indicata dal Sovrano. Dopo 22 anni sarebbe il caso che taluni scendano dal piedestallo. La Svizzera deve relazionarsi bilateralmente con l’Unione europea; da partner collaborativo esterno che non può e vuole aderire alla comunità politica (direi burocratica) e istituzionale. Lo dico senza peli sulla lingua, predicare oggi l’adesione all’Unione europea è legittimo, ma non – a mio giudizio – positivo per la Svizzera.
Una vera e propria analisi e interpretazione storica sarà possibile solo fra qualche decennio, siamo temporalmente ancora troppo vicini per le regole della storia, ma già oggi si possono trarre delle importanti conclusioni, e a mio giudizio degli insegnamenti per il presente.
Il 6 dicembre 1992 nel vostro invito viene messo giustamente in relazione a tre importanti concetti: l’identità, la libertà e la democrazia diretta. Da qui ho tratto il titolo di questa mia breve relazione “Democrazia diretta: fondamento di identità e libertà”.
Questo perché personalmente sono fermamente convinto che i due primi elementi citati – l’identità e la libertà – siano direttamente connessi, tanto da dipenderne in maniera molto significativa, con il terzo: la democrazia diretta. In sostanza: la democrazia diretta è fondamento e garanzia di identità e libertà. Iniziative popolari e referendum sono un elemento centrale e unico del nostro sistema Stato. Sono parte dell’identità istituzionale Svizzera, ne plasmano i contenuti e offrono al Sovrano più volte l’anno la possibilità di esprimersi direttamente sui temi più disparati. Le iniziativa popolari e i referendum hanno modellato il nostro sistema politico, economico e sociale, ma anche la cultura politica, della Svizzera. La nostra libertà e la nostra identità dipendono fortemente quindi dalla democrazia diretta e quest’ultima è la massima espressione di libertà e identità di uno Stato. Detta in maniera semplice: di 6 dicembre 1992 nella storia Svizzera ce ne sono stati tanti e ce ne saranno – per fortuna – ancora.
Il referendum serve al cittadino per bloccare e cambiare rotta, il 6 dicembre 1992 ne fu un chiaro esempio. L’iniziativa popolare serve al contrario a spingere e ad accelerare quando le Istituzioni non reagiscono o non dedicano sufficiente attenzione ad una necessità diffusa nella popolazione; il “9 febbraio” è in questo caso un significativo esempio.
Se guardiamo alla storia dobbiamo ricordare che nella Costituzione del 1848 fu garantito “solo” il referendum facoltativo, nel 1874 fu introdotto il referendum obbligatorio e solo nel 1891 l’iniziativa popolare, dopo anni di scontro politico tra conservatori esclusi dal potere e maggioranza assoluta radicale alla guida dei primi tre decenni della Svizzera del 1848.
Iniziative e referendum sono complementari e hanno segnato importanti momenti della storia del nostro Paese. Soprattutto per i giovani come il sottoscritto tante realtà paiono oggi scontate, ma senza la democrazia diretta forse non ci sarebbero. E’ ad esempio con un’iniziativa popolare che nel 1918 si stabilì il sistema proporzionale (garante di maggiore rispetto per le minoranze) per eleggere il Consiglio nazionale. Oppure solo nel 1994 si sancì il primo agosto festivo, quale giorno di Festa nazionale. Sempre il Popolo sovrano, tramite referendum, ha dato vita nel 1911 alla Legge federale sull’assicurazione contro gli infortuni, nel 1948 all’AVS e potrei citare altri voti fondamentali ad esempio in materia di sicurezza interna (i vari voti relativi all’esercito) e di formazione professionale.
Iniziative e referendum sono alla base del nostro sistema democratico e modellano, direttamente e indirettamente, l’andamento di Governi e Parlamenti, dal livello nazionale fino ai Comuni.
Qualche dato interessante e spesso sconosciuto. Dal 1891 al 2014 in 123 anni, sono state lanciate 431 iniziative popolari; 3,5 all’anno. Ne sono riuscite 311, mentre 106 sono fallite; quasi 3 su 4 sono quindi giunte in Parlamento. Tra le 311 riuscite: 4 sono state invalidate (unità della materia e della forma), 2 stralciate, 93 ritirate (30%), 192 sono quindi giunte in votazione; 45% arrivano dunque al voto. In 123 anni il Sovrano ne ha accolte 22 su 192 (poco più di una su 10, ma 10 – quasi il 50% – accolte dal 2002). Le cifre sui referendum sono simili. Sono solo numeri, ma a mio giudizio riassumono il dinamismo e la cultura politica della Svizzera. E non è poco!
L’ignoranza civica e di conseguenza l’invida dei Paesi attorno al nostro è conferma di quanto dico, del valore e dell’unicità del nostro sistema. Chi non conosce, non capisce. Chi non capisce, critica o invidia. Personalmente guardo con simpatia a questa tendenza, poiché di fondo chi parla a vanvera vorrebbe il medesimo sistema per sé, ma semplicemente non l’ha e non ha la possibilità di ottenerlo.
Spero lo capisca anche la crescente maggioranza silente di cittadine e cittadini svizzeri che non si reca alle urne, anzi che non compila e spedisce la busta considerata la possibilità del voto per corrispondenza. Una situazione assurda. La nostra democrazia diretta è unica. Nel mondo si lotta e si muore per ottenere partecipazione politica, ma un gran numero di svizzeri non partecipa? Non mi piace! Non ci sono scuse reali di fronte alla non partecipazione. In democrazia ogni voto conta (ne so personalmente qualcosa) e la non partecipazione, facendo astrazione delle varie interpretazioni politologiche (distacco, disincanto, soddisfazione silente), è una mancanza di rispetto verso l’identità nazionale e per la libertà che il nostro stato ci garantisce.
Mi pare quindi molto importante sottolineare che i nostri strumenti di democrazia diretta sono stati il perno attorno a cui il Paese ha più volte corretto e modificato la propria identità e stabilito i margini della propria libertà. Il 6 dicembre 1992 ne è un emblema. Iniziative e referendum hanno nella storia moderna Svizzera giocato, e giocano tutt’oggi, un ruolo centrale. Da parte mia non posso che lanciare quattro auspici affinché anche nel futuro si possa contare su questi elementi chiave:
· che i cittadini non si dimentichino dell’unicità che contraddistingue il nostro sistema.
· Che Parlamento e Governo (i controllati) non modifichino radicalmente le regole per il Popolo (il controllore), che raccoglie firme per iniziative e referendum. Sarebbe assurdo e irrispettoso. Si può forse porre qualche correttivo al numero di firme e alla tempistica (iniziativa popolare: nel 1891 poco meno del 6%, oggi meno del 2%), ma nessuna rivoluzione.
· Che la democrazia diretta resti un elemento centrale per l’identità e la libertà della Svizzera.
Perché? E questa è la conclusione della mia riflessione: la democrazia diretta è assolutamente incompatibile con il costrutto istituzionale europeo attuale. Democrazia diretta e Unione europea sono sistemi inconciliabili e di conseguenza si escludono a vicenda. Iniziative popolari e referendum sono valori – per il sottoscritto e penso anche per voi tutti in sala – non negoziabili del nostro sistema. Non vi è compatibilità con il sistema comunitario. Spero vivamente (sogno?) che il tema dell’adesione sparisca dall’agenda politica.
Dobbiamo relazionarci (non isolarci) con i Paesi circostanti e con l’Unione europea nel rispetto della nostra identità e libertà, nel rispetto della nostra democrazia diretta. Una via è possibile e percorribile, necessita di compromessi, ma ci preserva dalla perdita di identità e libertà fondamentali.

Grazie per l’attenzione. W la Svizzera! Grazie Svizzera!

Intervento all’assembela dell’Associazione Svizzera Neutrale Indipendente, 5 dicembre 2014 – Lugano