9 febbraio 2014/4 marzo 2016. Oltre due anni per ricevere finalmente un progetto concreto per l’applicazione del nuovo articolo costituzionale 121a sulla gestione dell’immigrazione (iniziativa immigrazione di massa). Finalmente il Parlamento, in stretta collaborazione con i Cantoni e le associazioni economiche e padronali, potrà discutere su qualcosa di concreto. Da troppo tempo si cita in termini generali “l’applicazione del 9 febbraio” senza disporre di elementi reali. Le speculazioni si sono moltiplicate creando grande incertezza. Fattore non positivo per il dibattito politico nazionale, ma soprattutto per l’immagine e la credibilità del Paese. Uno dei fattori di forza della Svizzera è la stabilità, senza di essa perdiamo un elemento caratterizzante.Cominciamo con un giudizio su quanto presentato. Il messaggio conferma a mio giudizio quanto percepito negli ultimi due anni. Un Consiglio federale remissivo, senza coraggio politico e poco determinato. L’oggetto è politicamente molto rilevante sia all’interno del Paese sia per la politica estera. Il Governo quanto gremio è latitante e, anche la conferenza stampa di venerdì scorso, ha mostrato un eccessivo dipartimentalismo, privo di un necessario approccio strategico. In aggiunta due anni per elaborare una modifica di legge sono eccessivi. Mi piace pensare a un Consiglio federale più determinato, capace di dare una risposta forte all’interno del Paese e in seguito unito nel cercare il dialogo con un’Unione Europa istituzionalmente sempre più lacerata.
Ora la palla è stata istituzionalmente girata al Parlamento. Si prospettano dodici mesi intensi, non sono escluse sorprese. L’iniziativa prevede infatti tre anni per l’applicazione, ma non cita cosa sarà necessario fare nel caso in cui il tempo non sarà sufficiente. Con il passare dei mesi aumenterà purtroppo l’incertezza, il 9.2.2017 si avvicina. Scopriremo a breve l’approccio che avrà l’UDC, promotore dell’iniziativa, e ora chiamato a collaborare nell’applicazione. Un totale e strumentale disimpegno politico sarebbe irresponsabile. Annunciare sin d’ora il lancio di una nuova iniziativa è un torto alla tanto lodata democrazia diretta. Se la Legge d’applicazione che sortirà dal Parlamento non piacerà agli iniziativisti, avranno la possibilità di promuovere un referendum. Lanciare adesso una nuova iniziativa è letteralmente e impropriamente giocare con le istituzioni.
La Commissione delle istituzioni politiche del Nazionale (prima Camera a trattare il progetto), in cui ho il piacere di sedere dal 2011, avvierà l’approfondimento e la discussione sul messaggio governativo già nelle prossime settimane. Occorrerà comprendere di quale sostegno gode la proposta governativa. Non mi pare che i primi riscontri da destra e sinistra lascino presagire un percorso semplice.
Da lunedì disponiamo comunque di un nuovo e interessante elemento. La proposta “ticinese” elaborata dal Prof. Ambühl. Personalmente, dopo un primo sommario approfondimento, trovo che quanto elaborato sia molto interessante e potenzialmente vincente. L’approccio molto federalista è innovativo e flessibile. Permette di dare risposte alle regioni con problemi, evitando eccessivi interventi laddove non ne sono auspicati. Permette di limitare i frontalieri in Ticino, lasciando nel contempo libertà a Basilea. Sembra che il progetto ticinese stia cominciando a piacere anche a numerosi altri Cantoni. Alla prima seduta della citata commissione chiederò che il Governo e l’Amministrazione prendano in tempi rapidi posizione sulla possibilità di realizzare il “modello Ambühl”. Si intravvede la possibilità di un’alleanza trasversale per renderlo adeguato a realizzare il meccanismo di concretizzazione di quanto sancito nella Costituzione.
In conclusione, a chi oggi invita alla massima prudenza o all’immobilismo, dicendo che occorre il voto britannico, rispondo che la via da seguire è binaria. Si realizzi internamente, costruendo il consenso necessario e chiamando l’UDC alle proprie responsabilità di Partito di Governo, un modello di applicazione pratica del nuovo articolo costituzionale. Terminati i lavori, tenendo debitamente conto di quanto deciderà la Gran Bretagna e degli effetti che avrà sull’UE, si vada a Bruxelles compatti e decisi a trovare una soluzione con l’Unione Europea. Non provarci, significa comunque perdere. Il modello ticinese sarà forse la quadratura del cerchio?

Editoriale, Popolo e Libertà, 11.03.2016