Intervista pubblicata su Il Caffè, 14.04.2019

Gli italofoni sono nettamente sottorappresentati nei posti chiave dell’amministrazione. Qual è la sua reazione?
“Sono deluso e arrabbiato. L’amministrazione federale è il cuore del nostro Stato. Lavora per il Paese. Serve tutte le sue componenti e deve relazionarsi con esse rispettando la varietà linguistica. Il radicarsi di un blocco monolitico svizzero-tedesco è preoccupante. Non basta prenderne atto e lamentarsi. La Svizzera italiana deve reagire: Berna non è lontana e la Confederazione è un ottimo datore di lavoro. I vertici della Confederazione devono prendere misure più incisive per favorire l’equa presenza delle comunità linguistiche”.

La coesione nazionale di cui la Svizzera va tanto fiera il 1° agosto è solo un mito?
“Il plurilinguismo è una risorsa eccezionale. Non un concetto astratto da sventolare nei discorsi ma un plusvalore da vivere attivamente. È un reale collante tra le singole componenti del Paese. È il ponte tra differenti culture, regioni e dinamiche. La conoscenza delle lingue nazionali deve rimanere fra le nostre priorità e va promossa in tutti i contesti. Solo così manterremo la nostra specificità in un mondo che tende a relativizzare le identità. In questo ambito sia il mondo della scuola sia l’amministrazione pubblica giocano un ruolo chiave”.

Si sente dire che “il plurilinguismo è costoso e rallenta i processi”. Che cosa ne pensa?
“Il plurilinguismo ci rende unici nel contesto internazionale. Piuttosto che valutarne i costi e le conseguenze sui processi, occorre che i vertici ne riaffermino il reale valore aggiunto. Oggi nella quotidianità sono troppo poco attenti nei confronti del potenziale dato da un giusto mix di personale proveniente dalle varie aree linguistiche”.

La legge sulle lingue del 2007 è un fallimento?
“È una base legale molto importante, attesa da anni. Un punto di partenza, non di arrivo. Non basta avere una legge che prescrive regole e valori soglia, bisogna anche realizzarla, in ogni ambito possibile. L’applicazione deve essere più rigorosa. Il non rispetto dei valori soglia e delle regole chiave va sanzionato. Un quadro non va promosso se non migliora le competenze linguistiche. Nei colloqui di assunzione va obbligatoriamente invitata una percentuale rappresentativa di italofoni. Ai colloqui deve essere presente un italofono. Per i dirigenti si utilizzano spesso “cacciatori di teste”: nel mandato deve essere prescritta la ricerca attiva di profili della Svizzera italiana (non solo ticinesi, ma italofoni in Svizzera e nel mondo: si pensi al nuovo Ceo della Posta)”.

Cosa dovrebbe fare Nicoletta Mariolini, la delegata al plurilinguismo nominata dal Consiglio federale?
“Proseguire la sua attività, divenendo una spina nel fianco degli uffici federali irrispettosi del plurilinguismo e della Svizzera italiana. Il Consiglio federale deve valorizzare maggiormente questa figura”.

L’amministrazione è una grande nave difficile da manovrare. Non si sente impotente?
“Rassegnarsi significa fermarsi. I troppo pochi italofoni oggi attivi a Berna meritano il nostro sostegno e la nostra difesa. Solo un’azione duratura e costante permetterà miglioramenti”.

Intervista a cura di Michel Guillaume pubblicata su Il Caffè, 14.04.2019