Da maggio 2016 è Presidente dell’Interprofessione della vite e dei vini svizzeri (IVVS), di cosa si tratta e per cosa si batte questa associazione?
L’IVVS è l’associazione mantello del mondo vitivinicolo svizzero che raggruppa le 6 regioni vitivinicole (Vaud, Vallese, Ginevra, Ticino, Svizzera Tedesca, “3 Laghi”) e le 5 associazioni di categoria della produzione e del commercio. Segue gli sviluppi della politica agricola, difende gli interessi di categoria, cura i rapporti con le istituzioni e si occupa di promuovere l’immagine del vino svizzero. A Palazzo federale mi definiscono il “lobbysta del vino”; come ticinese legato al proprio territorio ne sono fiero e mi rallegro che mi abbiano proposto.

Perché il settore vitivinicolo?
Il mio unico “conflitto di interesse” è l’essere un buon consumatore (con moderazione). Scherzi a parte, una delle condizioni per assumere questa carica era quella di non avere interessi di parte nel settore. Nel comitato sono rappresentate tutte le componenti della filiera, spesso le posizioni dei singoli attori e le differenti visioni regionali impongono azioni di mediazione. Un lavoro complesso, focalizzato sulla necessità di cercare compromessi e di profilare la vitivinicoltura come settore economico rilevante per il Paese.

Di recente i media hanno parlato delle difficoltà del settore. Cosa succede?
Il mercato al momento è teso. La natura è imprevedibile, il consumo diminuisce da anni e la concorrenza estera è fortissima. Molti professionisti sono in difficoltà. Il vino svizzero gode di apprezzamento, ma è necessario aumentarne le vendite ritagliandosi qualche successo nell’esportazione, che rappresenta meno dell’1%. Vi è un potenziale di crescita, ma il mercato principale resterà quello nazionale. In autunno abbiamo condotto un’azione politica per realizzare una campagna straordinaria di promozione, finanziata dalla grande distribuzione e dalla Confederazione. Abbiamo trovato sostegno da parte del Consigliere federale Guy Parmelin. Un altro fronte aperto è la ristorazione: nelle città il vino svizzero è marginalizzato. Servono maggiore sensibilità e rispetto, se necessario “forzando” i ristoratori.

E globalmente quali sono i fronti politici aperti?
Il vino svizzero va difeso e promosso, servono ulteriori risorse finanziarie e una presa di coscienza generalizzata. Gli sviluppi legislativi sono complessi, tendono ad aumentare la burocrazia. L’IVVS si batte per minori oneri e rispetto per le peculiarità locali. Di recente abbiamo fatto togliere dalla Politica agricola 2022 l’inutile e costoso passaggio dal marchio DOC a quello DOP. Nel 2020 sarà d’attualità la questione dei prodotti fitosanitari e il loro effetto sulla produzione e sull’ambiente. Sono pendenti 2 pericolose iniziative popolari che con soluzioni drastiche – l’eliminazione della possibilità di quasi ogni tipo di trattamento – rischiano di danneggiare pesantemente il settore. Ne beneficerebbero i vini esteri, il cui impatto ambientale è ben peggiore.

In un dibattito radiofonico ha più volte ribadito che “la Svizzera non è solo orologi, banche e formaggio”. Cosa intende?
Il settore primario è parte integrante del nostro territorio e della nostra economia. La vitivinicoltura non è solo la produzione di uva e di vino. Essa plasma il territorio (immaginiamoci il Ticino senza vigneti), è contraddistinta da aziende con alle spalle generazioni di successo e genera un indotto ampio promuovendo la biodiversità.

 
Intervista a cura di Federica Galfetti, pubblicata su Popolo e Libertà, gennaio-febbraio 2020