Mentre la politica nazionale e cantonale, soprattutto nei Cantoni di montagna come il nostro, sta ancora discutendo in maniera accesa e preoccupata del risultato dell’ultima votazione federale, leggasi iniziativa contro le residenze secondarie, tra poche settimane, il 17 giugno, saremo nuovamente chiamati a esprimerci su tre oggetti di politica nazionale. Si tratta di due iniziative popolari e di un referendum. La citata votazione dello scorso 11 marzo ha creato un vero e proprio terremoto istituzionale. La proposta di risolvere il problema dei letti freddi, in maniera drastica e con modalità non usuali nella storia e nel funzionamento del nostro Paese, ha vinto sul filo di lana.

Sia le Autorità a tutti i livelli sia l’opinione pubblica sono state colte impreparate, mostrando di avere sottovalutato le conseguenze di un’accettazione popolare, a dire il vero prevista da pochi agli albori dell’iter parlamentare. Gli effetti indiretti e immediati della proposta sono risultati platealmente problematici anche per i promotori/vincitori. Il testo dell’iniziativa era di per sé chiaro, facilmente spendibile, e il principio della proposta aveva già trovato attenzione nel dibattito politico degli anni precedenti. Nel pieno rispetto della volontà popolare, toccherà ora alla Berna federale, in collaborazione con i promotori e i Cantoni, trovare una modalità sostenibile di realizzazione pratica dell’iniziativa. Guardando agli oggetti in votazione il 17 giugno prossimo, troviamo un’altra iniziativa ricca di aspetti problematici, tanto da poterla paragonare – in termini di attrattività e pericolosità – a quella sulle residenze secondarie. Penso all’iniziativa popolare “accordi internazionali: decida il Popolo” che promette una migliore democrazia diretta e più autonomia istituzionale per il nostro Paese. Un’accettazione dell’iniziativa porrebbe tuttavia la Svizzera in grande difficoltà sia al proprio interno sia nei rapporti socio-economici fondamentali con l’estero.

L’introduzione di un referendum obbligatorio per tutti i trattati internazionali snaturerebbe l’essenza del referendum facoltativo. Inoltre aumenterebbe in maniera considerevole il numero di votazioni popolari (con i relativi costi), banalizzando la democrazia diretta tanto da disorientare e forse allontanare i cittadini dalla partecipazione attiva. I trattati internazionali, diverse decine sottoscritti ogni anno, contengono spesso un articolato costrutto di elementi tecnici, politicamente legittimati da Governo e Parlamento, e possono essere sottoposti al Popolo quando contestati da 50mila cittadini o 8 Cantoni (referendum facoltativo). Il titolo accattivante dell’iniziativa, certamente popolare, e la promessa di maggiore democrazia, presentati in maniera opportunistica da abili campagne di marketing, rischiano di compromettere un sistema che ad oggi ha permesso alla Svizzera di consolidare rapporti internazionali globalmente favorevoli, senza compromettere eccessivamente la propria natura e indipendenza. Nel futuro prossimo non bisognerà abbassare la guardia.

È necessario continuare a preservare l’identità e le caratteristiche svizzere in un contesto globale sempre più interconnesso. La via è irta, ma la Svizzera ha le peculiarità (tra cui la democrazia diretta!) per riuscire nella sfida. Occorre tuttavia essere coscienti che l’accettazione di questa iniziativa comprometterebbe il sistema elvetico limitando la forza del nostro Paese nei confronti dell’esterno. Inoltre verrebbe rivoluzionato il sistema di legittimazione popolare della politica estera Svizzera. Prestiamo quindi la debita attenzione alla prossima votazione, mettendo al centro gli interessi del nostro Paese nella sua globalità. La democrazia non si misura nel numero di votazioni popolari.

Marco Romano, segretario cantonale PPD e direttore Popolo e Libertà