Essere donna, di lingua italiana, domiciliata in Ticino rappresenta (purtroppo!) il quadro migliore per avere difficoltà ad essere ammessa quale dipendente dell’Amministrazione federale. Non si tratta di un luogo comune, ma di una realtà diffusa e comprovata dalle statistiche relative al pluralismo nell’apparato statale nazionale. Quanto vale per i dipendenti pubblici è ancora più diffuso nell’ambito delle numerose commissioni di esperti e gruppi di lavoro nominati dal Consiglio federale.

Le commissioni extraparlamentari sono oltre 120. Sono organi di milizia che completano l’Amministrazione federale nei settori in cui le mancano le conoscenze specifiche. Parimenti rappresentano uno strumento efficace per rappresentare gli interessi delle organizzazioni politiche, economiche e sociali; a sostegno più o meno diretto le attività dell’Amministrazione. Parliamo dunque di gremi molto importanti sia in ottica strategica sia operativa. L’attività è ben retribuita e contribuisce direttamente alla formulazione dei grandi progetti politici nazionali. Purtroppo la composizione è tendenzialmente “svizzero-tedesco centrica” e la presenza femminile ridotta all’osso.

La scorsa settimana, il Consiglio nazionale – con 162 voti favorevoli contro 5 – ha approvato un postulato intitolato “elaborazione di una strategia più attiva volta a concretizzare le disposizioni legali sulla rappresentanza dei sessi e delle comunità linguistiche nelle commissioni extraparlamentari”. Parafrasando il titolo, il Nazionale ha incaricato il Consiglio federale di mettere nero su bianco una strategia per aumentare il numero di donne e di professionisti di lingua italiana e francese nelle commissioni extraparlamentari.

Purtroppo l’approccio federale odierno è carente, focalizzato esclusivamente su obiettivi di principio a medio-lungo termine, senza un impegno concreto nella quotidianità. Manca un dinamismo proattivo, capace di nominare donne con competenze specifiche e professionisti provenienti dalla Svizzera italiana; soprattutto nelle commissioni a vocazione tecnica.

Il Parlamento esige che il Consiglio federale allestisca un pacchetto di misure pratiche, applicabili a corto termine, da attuare già al prossimo rinnovo di tutte le commissioni e i gruppi di lavori. Occorre ad esempio rendere più visibili i membri delle commissioni e il loro lavoro, sia per stimolare candidature spontanee sia per migliorare i contatti con gli ambienti delle associazioni professionali femminili, come il BPW (Business and Professional Women). Per quanto attiene la composizione linguistica il delegato al plurilinguismo deve svolgere un ruolo proattivo e determinante nella ricerca di potenziali candidati provenienti dalle comunità linguistiche minoritarie del Paese. In ultima ratio, non deve essere un tabu l’opportunità di incaricare agenzie professioniste di reclutamento per reclutare personale non germanofono e/o femminile.

La decisione del Consiglio nazionale rappresenta un messaggio forte al Consiglio federale e ai vertici dell’Amministrazione federale troppo spesso sordi alla necessità di avere un impianto statale che rappresenti nella sua pluralità il Paese. E’ ora di concretizzare in termini reali gli obiettivi posti a livello teorico.

Opinione pubblicata su Giornale del Popolo, 20.06.2013