La minaccia jihadista è una realtà anche in Svizzera, il livello di pericolo è definito dalla Confederazione elevato. Le recenti vicende ginevrine non sono che una conferma. La radicalizzazione di giovani cresciuti nel nostro Paese partiti o pronti a partire per le zone in conflitto è un fenomeno presente e preoccupante. Il terrorismo, soprattutto di matrice islamica, è tanto imprevedibile quanto pericoloso.
Le competenti autorità svizzere di polizia, sorveglianza e perseguimento penale hanno da mesi alzato il livello di guardia. Con le risorse a disposizione si cerca di compiere ogni sforzo possibile sia nell’ambito della prevenzione sia nella prontezza di reazione repressiva.A livello politico denoto purtroppo una carenza di pragmatismo. In talune cerchie in nome di un pacifismo impregnato di utopia e di un approccio prettamente ideologico si persiste su di una linea buonista che arriva ad essere anche ostruzionista nei confronti di importanti progetti volti ad aumentare il livello di controllo e repressione. In ordine di tempo va citato il legittimo, ma sciagurato, referendum contro la nuova Legge sul servizio informazioni (attività di intelligence) della Confederazione.
Accanto a Servizi informativi vigili e performanti è opportuno dotarsi quanto prima delle opportune modifiche legislative per frenare alla radice il fenomeno della radicalizzazione di cittadini che risiedono nel nostro Paese. I dati ufficiali evidenziano almeno quaranta partenze accertate, trenta non confermate e circa una decina di rientri. I viaggi per la Siria intrapresi con finalità jihadiste continuano ad aumentare, a partire non sono più solo uomini bensì anche donne e minori. Queste tendenze osservate in tutta l’Europa interessano anche la Svizzera.
Servono norme chiare che permettano un’efficace azione repressiva e nel contempo abbiano un effetto deterrente e dissuasivo. Questi giovani della “porta accanto” devono sapere preventivamente che se si attivano, radicalizzano e partono entreranno in pesante conflitto con il nostro sistema giudiziario.
Tutti i Paesi attorno al nostro si stanno muovendo in questo senso, la Svizzera non può ignorarlo e divenire un’isola nella quale muoversi senza conseguenze. Il Consiglio nazionale ha in questo senso nelle scorse settimane approvato un’iniziativa parlamentare – analoga a una mia mozione depositata nel 2014 e ancora pendente – che chiede la revoca della cittadinanza per i cittadini con doppia cittadinanza che hanno partecipato ad attività terroristiche o azioni belliche in Svizzera o all’estero. La revoca deve essere imperativa e avrà certamente un effetto dissuasivo. I mercenari jihadisti con doppio passaporto non possono conservare la nazionalità svizzera. Essi rappresentano un enorme potenziale di pericolo per il Paese e per la popolazione. Nuocciono gravemente all’immagine e alla sicurezza della Svizzera. Nel caso di un rientro, deve essere revocato il passaporto elvetico e deve essere vietata l’entrata nel Paese. Si tratta di una misura singola da integrare in un pacchetto più ampio che attualmente è al varo del Consiglio federale. Fondamentale è la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti, ma anche rigore sul fronte giudiziario.

Contributo pubblicato su Giornale del Popolo, 18.12.2015