È lunedì 19 marzo 2012, solennità di San Giuseppe, festa dei papà, giornata festiva nel nostro Cantone. Un lunedì a ridosso di un fine settimana piovoso. Un giorno festivo infrasettimanale come tanti altri. Il traffico lungo la fascia di confine è intenso. Anche agli occhi dei meno attenti risulta evidente, come solito, l’alto numero di cittadini ticinesi che varca il confine per acquisti vari.
Non è necessario spiegare i motivi di questo esodo, ma è evidente che si tratta di introiti persi dal commercio ticinese.
I negozi in Ticino sono chiusi. La giornata libera è un’occasione propizia per fare spese sia strettamente necessarie sia di piacere. È una realtà consolidata nell’odierna società del consumismo, fortemente condizionata da un mondo del lavoro e da un approccio al tempo libero che hanno rotto i tradizionali ritmi giornalieri e settimanali di vita.

Volenti o nolenti, ci troveremo nella medesima situazione in occasione di altre quattro festività infrasettimanali da qui all’estate. È quindi doveroso riflettere sull’opportunità e la necessità di riuscire a concedere la facoltà a piccoli, medi e grandi commerci di poter aprire anche nelle citate giornate.

L’attuale situazione giuridica “grigia” non lo permette. Da parte governativa non si ha la volontà di forzare la mano. Comprensibile, visto l’atteggiamento di talune forze sindacali che, senza disponibilità al dialogo e attenzione nei confronti dell’evoluzione della società, garantiscono di adire immediatamente le vie ricorsuali per fermare una qualsiasi apertura.
Personalmente credo sia il momento di affrontare di petto il problema. L’attuale situazione congiunturale ticinese è critica. La pressione e la competitività di economia e commercio nord italiani sono estremamente elevate. L’organizzazione e la struttura socio-economica del nostro Cantone sono mutate.

Si tratta di evidenze che impongono una reazione. Con una disponibilità al dialogo e al compromesso, le parti in causa hanno la possibilità di ottenere risultati positivi ai fini dei propri interessi di parte. Perché non impegnarsi per raggiungere una “win-win situation?” Occorre chiaramente da entrambe le parti scendere dagli arroccamenti e fare delle concessioni.

Da parte sindacale sono legittime le richieste volte a vedere concessa maggiore tutela nei confronti dei lavoratori del settore; cito i contratti collettivi e i salari minimi con chiare garanzie a tutela dei diritti del personale. Da parte padronale, vi è una chiara necessità di restare competitivi e quindi di poter offrire i propri prodotti soprattutto nelle giornate nelle quali il potenziale di clienti è evidentemente maggiore. Ne va del mantenimento di numerosi posti di lavoro. La realizzazione di parte degli interessi di entrambi i fronti – di per sé non totalmente inconciliabili! – rappresenterebbe una conquista per l’intero Cantone.

La nostra tradizione di pace del lavoro, il nostro Stato di diritto e i valori che fondano le nostre istituzioni, sono garanzie sufficienti per credere nella possibilità di risolvere la problematica in tempi ragionevoli. Il Ticino ha i mezzi per sviluppare un commercio al dettaglio competitivo e rispettoso del tessuto sociale ticinese. Non ne ho dubbio.

Marco Romano
Consigliere nazionale e segretario cantonale PPD