Marco Romano, quali sono le tre priorità della prossima legislatura?
«Occorrerà posizionare in maniera chiara la Svizzera nei confronti dell’Europa e dei Paesi a noi circostanti. Urge trovare soluzioni agli squilibri socioeconomici rafforzando i controlli sul mercato del lavoro ed esigendo il rispetto per le condizioni quadro svizzere. Bisognerà poi gestire i fenomeni migratori e le difficoltà ad essi connesse. Nel solco della nostra tradizione possiamo concedere rifugio a chi è vulnerabile, ma servono infrastrutture. Centrale è poi la sicurezza: terrorismo e violenza radicale sono realtà».

Veniamo al PPD, qual è lo stato di salute?
«Va detto: usciamo da una scoppola alle cantonali, ma credo che ci sia potenziale per invertire la tendenza. Serve la mobilitazione mancata in primavera. Occorre prendere coscienza che uno dei due seggi è fortemente a rischio. Mi auguro che sia tra i militanti PPD sia nell’elettorato di opinione vi sia la volontà di sostenere Regazzi e Romano che nel primo quadriennio hanno garantito lavoro e risultati».
Insomma, lei lancia il vostro ticket. Il resto è contorno?
«Non è un ticket. Ci sarà chi singolarmente ci apprezza e chi no, ma quello che conta è il risultato del PPD. La nostra lista e le congiunzioni parlano chiaro. Tutti i candidati sono vincenti e concorrono per fare vincere il PPD. La loro presenza li onora».

Dice che un PPD è a rischio. Ma non ringrazia il PS e a Savoia per la mancata congiunzione?
«Ho preso atto con un sospiro di sollievo di quanto accaduto. Ma non mi illudo. Il PLR vuole il terzo seggio, non vogliamo essere noi a concederlo».

Andare verso le elezioni senza un vero presidente non è un limite?
«Non è ottimale. Oggi tuttavia non c’è un solo partito con un presidente in pectore. Il gruppo operativo del PPD sta lavorando bene e ha posto le basi per una vittoria elettorale. La creazione di più liste, l’energia dei giovani e il sondaggio interno mi paiono segnali importanti. Il PPD c’è e vuole vincere. Spero che nella base si reagisca, mettendo in disparte rancori personali e problemi locali. All’elettorato trasversale presento quattro anni di lavoro e dinamismo».
In quattro anni da segretario del partito a consigliere nazionale. Quanto è cambiata la sua vita?
«Tantissimo, in ogni ambito. È normale alla mia età avere novità nella vita privata e in quella professionale. Un cambiamento che vivo con entusiasmo, determinazione e impegno. Essere a Berna è un onore più che un onere».

E alla vicenda del sorteggio le è capitato ancora di pensarci?
«È un fatto indelebile della mia vita e della storia politica nazionale. Ho legittimamente lottato per l’elezione. Oggi non ho problemi a dire che talune cose le farei diversamente o non le rifarei. Il tempo e la maturazione portano a riguardare il tutto con altri occhi. Non dimentico neppure le pressioni subite, unitamente a palesi torti».

Come valuta i rapporti sull’asse Ticino-Berna in questa legislatura?
«I rapporti sono stati molto intensi e sono stati prioritari per tutta la deputazione, ognuno con le sue sensibilità. Purtroppo vedo un’amministrazione federale che fatica a capire le peculiarità del Ticino. Non siamo speciali, ma particolari. Abbiamo pari dignità, ci attendiamo risposte federaliste. A Berna manca la conoscenza della nostra realtà. Preoccupante è vedere il Consiglio federale molto impegnato con Francia e Germania, ma insufficiente e inconcludente con l’Italia. Paghiamo anche l’assenza da 16 anni di un nostro rappresentante in Governo. Vi è poi nei funzionari ignoranza di modi e tempi della politica italiana. Trovo scandaloso che non sia ancora stato “convocato” Renzi».

E quale è stato il suo principale successo da parlamentare federale?
«Sicuramente il sì al potenziamento delle guardie di confine. Da anni se ne parlava e sono riuscito a fare breccia vincendo contro il parere del Consiglio federale».

Negoziare sì, ma con coraggio
Si può rinunciare agli Accordi bilaterali per applicare rigidamente il 9 febbraio?
«Bisogna applicare il 9 febbraio trovando una soluzione con l’Unione europea per quanto concerne la libera circolazione. La via bilaterale non ha alternative; l’adesione non è tema. Il PPD propone una clausola di salvaguardia per frenare l’immigrazione».

Cosa fare se non si arriva ad un’intesa con l’UE?
«Quando si ha un problema aperto e che urge, bisogna risolverlo e non stabilire a priori una via di fuga. Agire in questo modo sarebbe segnale di debolezza e insicurezza. Non dico all’Europa cosa faccio in ultima battuta, ma dico in maniera ferma e chiara che dobbiamo trovare una soluzione. Il popolo ha detto cosa vuole, alla politica dare una risposta. Di impossibile non c’è nulla, il Consiglio federale mostri un atteggiamento negoziale, ma anche maggiore coraggio politico. Abbiamo carte da giocare».

Intervista a cura di Gianni Righinetti, pubblicata su Corriere del Ticino, 10.09.2015

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